L'intelligenza è una cera molle che può essere plasmata quasi a piacere: è possibile diagnosticare le lacune nelle competenze di base e ideare rimedi efficaci.

Il punto su Reuven Feuerstein, lo specialista dell’intelligenza

Mary era una bambina di sei, sette anni, con una pelle color ambra e due occhi nerissimi, Faceva parte del gruppo di controllo di un esperimento ed io le dovevo somministrare un test d’intelligenza. Sembrava piuttosto intelligente, ma non se la cavava per niente bene, tanto che venne fuori con un Q.I. di 80, appena sopra il limite del ritardo mentale.

Mi ricordo di aver pensato che mi ero lasciato ingannare da quegli occhi scuri, seri e pensosi. Eppure in qualche modo non riuscivo a togliermi dalla testa che Mery avesse molte più capacità di quanto rivelava il test.

Questo succedeva 15 anni fa, prima che uno psicologo clinico israeliano suscitasse grande interesse in America e altrove, dimostrando con nuovi dati che sì, in effetti i bambini come Mary possono essere intelligenti davvero.

Oggi le idee di Reuven Feuerstein sulla natura dell’intelligenza e il risveglio del potenziale intellettuale dormiente cominciano ad entrare nelle aule scolastiche di vari paesi. In Israele, dove le sue tecniche per sviluppare le attitudini di pensiero sono usate sistematicamente nella scuola da oltre una decina d’anni, sono 1.300 le classi che hanno adottato il suo programma. In Venezuela a livello universitario tutti i futuri insegnanti sono tenuti a seguire corsi dedicati alle teorie e ai metodi di Feuerstein. Negli Stati Uniti, dove gli educatori hanno incominciato a preoccuparsi del fatto che le tradizionali "discipline di base" non insegnano ai bambini a pensare, i suoi metodi sono già stati adottati in 300 plessi scolastici.

All’origine di tutto questo interesse c’è un professore di psicologia dell’Università di Bar Ilan, che assiste bambini caratteriali, orfani o abbandonati, in Israele. Ho incontrato per la prima volta Feuerstein l’anno scorso ad un congresso: un uomo imponente sulla sessantina, con una gran barba bianca e un largo basco nero, sembra un personaggio uscito da un romanzo di Tolkien.

Questo gnomo cresciuto troppo spiegava ai congressisti, nel suo inglese dall’accento esotico, che l’intelligenza non è scolpita una volta per tutte nel marmo della materia cerebrale, ma è invece una cera molle che si può plasmare a piacere.

Feuerstein non negava l’esistenza di quelli che si chiamano i "talenti naturali", ma affermava che, fatti salvi i casi più gravi, l’intelligenza subnormale può essere migliorata: molte persone con un Q.I. di 80, 60 o addirittura 40 possono, con un opportuno trattamento, arrivare a prestazioni vicine alla norma o anche superiori alla media.

Per un certo verso è strano che Feuerstein la pensi così, proprio lui che è stato allievo di Piaget, secondo cui lo sviluppo dell’intelligenza è essenzialmente un processo maturativi, il dispiegarsi di talenti biologici innati.

Forse le sue idee tanto diverse da quelle del maestro hanno una lontana origine negli anni dell’infanzia in Romania: a tre anni sapeva già leggere e ad otto insegnava l’ebraico ai bambini più indietro della comunità israelitica, fra cui ce n’erano certamente alcuni che oggi chiameremmo ritardati, o almeno con problemi di apprendimento.

Nel 1938 la Romania cade sotto il controllo della Germania nazista e due anni dopo Feuerstein, che allora viveva a Bucarest, fu mandato in un campo di concentramento, dove rimase nove mesi. Tornato a Bucarest, vi cominciò la prima parte di una lunga e avventurosa carriera di studi, che l’avrebbe portato più tardi a Ginevra da Piaget, per terminare nel 1970 con una laurea in psicologia alla Sorbona.<br>

A Bucarest Feuerstein lavorava in una scuola per i figli dei deportati: "Fui fortunato perché il governo aveva bisogno di insegnanti che si occupassero dei bambini. I rumeni non erano del tutto convinti delaa soluzione finale". Ancora una volta l’attenzione di Feuerstein si rivolse agli alunni più lenti nell’apprendimento. Ma quando cominciò a sperimentare con questi ragazzi attività di tipo estetico, particolarmente musicali, si scontrò con l’opposizione dei colleghi, convinti che alunni di quel tipo fossero adatti solo ad attività manuali. Mentre era così impegnato a lavorare con i suoi alunni e a lottare contro i pregiudizi dei colleghi, Feuerstein era anche attivista del movimento sionista clandestino. Arrestato nel 1944, ma rilasciato qualche ora dopo, si trovò di lì a tre giorni imbarcato sulla prima nave che faceva rotta per la Palestina, verso il futuro Stato d’Israele. Nella nuova patria Feuerstein ha lavorato per l’organizzazione Aliyah per la gioventù, che cercava in qualche modo di far fronte all’afflusso di bambini scampati allo sterminio nazista.<br><br>

Misurare direttamente l’apprendimento

Per decidere quale fosse il trattamento più opportuno, questi ragazzi venivano sottoposti ad una batteria di test psicologici, comprese le scale standardizzate d’intelligenza. Ma ben presto fu ben chiaro che queste prove erano di scarsa utilità per determinare le effettive risorse e lacune intellettuali. I tradizionali test d’intelligenza partono dal presupposto che questa sia una qualità immutabile, che pone limiti precisi a quello che una persona potrà mai effettivamente apprendere: date occasioni approssimativamente omogenee di apprendimento, le differenze in dividuali nelle prestazioni rispecchierebbero differenze d’intelligenza. Ma Feuerstein non poteva supporre che i bambini assistiti all’organizzazione avessero goduto di occasioni di apprendimento paragonabili a quelle dei bambini normali, dopo che avevano passato buona parte della loro vita dormendo all’addiaccio e lottando per sopravvivere nei campi di concentramento. Molti di loro avevano ai test prestazioni che li collocavano nella fascia del ritardo mentale, ma il Q.I. non diceva se questo ritardo era dovuto a scarse attitudini ad apprendere o alla mancanza di occasioni di apprendimento.

Forse, pensò Feuerstein, invece di misurare gli apprendimenti passati e da questi ricavare una stima delle attitudini di base, si dovrebbe piuttosto misurare direttamente le capacità di apprendere.

Avendo di mira questo scopo Feuerstein e i suoi colleghi misero a punto gradualmente una batteria per la valutazione del potenziale di apprendimento, il Learning Potential Assessment Device (LPAD), uno strumento che ha solo una lontanissima somiglianza con le altre misure dell’intelligenza. La maggior parte dei test tradizionali infatti contengono prove che dipendono dal bagaglio di nozioni acquisite, per esempio problemi aritmetici e quesiti di cultura generale. Il LPAD per lo più evita questi soliti contenuti: in una parte della batteria, per esempio, si tratta di identificare figure geometriche nascoste in un insieme di punti, in un’altra ci sono 4 tavolette quadrate sovrapposte, ciascuna con 9 gettoni di cui uno incollato alla base, e il bambino deve semplicemente ricordare in che posizione si trovano i gettoni fissi.

E’ chiaro che in prove di questo genere le nozioni e le abilità apprese in passato ( quanto fa 27 : 4, oppure come si imposta una lettera) servono a poco. Quindi ognuno quando esegue il test parte più o meno dalle stesse condizioni di ignoranza.

Nelle tradizionali scale d’intelligenza l’esaminatore non dà nessun aiuto, suggerimento o spiegazione, in pratica nessun tipo di informazione di ritorno: scopo del test è scoprire quello che il bambino sa già. Lo scopo di Feuerstein invece è scoprire che cosa il bambino è in grado di apprendere e i suoi metodi sono quindi radicalmente diversi.

La seduta d’esame è in pratica una lezione che dura 4-5 ore e più. Alunno e istruttore spesso si lasciano talmente coinvolgere che finiscono la prova d’un fiato, senza interruzione. L’esaminatore-istruttore presenta una prova e poi vede fino a che punto è in grado di arrivare l’alunno, con opportune istruzioni: la seduta procede così alternando accertamenti ed esercitazioni a livello via via più impegnativo per ciascuna delle singole prove. Durante la procedura l’esaminatore "interviene continuamente, fa osservazioni, chiede e fornisce spiegazioni ogniqualvolta sono necessarie, chiede di ripetere una prova, riassume le esperienze, prospetta in anticipo le difficoltà mettendo in guardia il bambino, crea le condizioni per un pensiero riflessivo e ricco di intuizioni", scrive Feuerstein. L’esaminatore-istruttore nota inoltre tutto quello che il bambino di volta in volta riesce o non riesce ad afferrare.

Ho avuto modo di vedere il tipo d’interventi che fa Feuerstein durante gli accertamenti, quando ho assistito alla sua seduta con Ruth, una bambina nera di 13 anni. A un certo punto si trattava di esaminare il concetto di destra e di sinistra. Alla richiesta di alzare la mano destra Ruth esegue, ma alla richiesta successiva di toccare la mano destra dell’esaminatore, seduto di fronte, gli tocca la sinistra. Allora Feuerstein chiede di nuovo "fammi vedere la tua mano destra". Ruth esegue e la procedura si ripete tale e quale: ancora una volta alla seconda domanda la bambina tocca la mano sinistra dell’esaminatore, quella più prossima alla sua destra. A questo punto Feuerstein si gira lentamente, tenendo le braccia discoste per accentuare la posizione, poi chiede di nuovo "qual è la mia mano destra?" Senza fare una piega la bambina gli tocca la sinistra. Allora Feuerstein le volta nuovamente le spalle, ma stavolta dopo aver tracciato col pennarello una "X" sul dorso della mano destra: come la prima volta Ruth gli tocca la mano giusta finché è di spalle, ma quando si gira verso di lei, anche se la destra è chiaramente contrassegnata alla "X" sbaglia di nuovo. E’ evidente che in questo modo Feuerstein ha potuto farsi un’idea molto più chiara dell’entità del problema di apprendimento della bambina, che non fermandosi subito dopo il primo errore.

Problemi di pensiero

Una volta messo a punto l’LPAD, Feuerstein si è accorto che il nuovo test dava un quadro molto diverso del potenziale intellettuale dei bambini assistiti dalla sua organizzazione, in confronto a quello che si ricavava con gli strumenti diagnostici tradizionali. Bambini che inizialmente avevano dimostrato una notevole disinformazione generale, dimostravano di essere in grado di acquisire certe nozioni, altri che sembravano incapaci di afferrare i concetti più elementari, come destra e sinistra, arrivavano ad assimilarli, altri ancora che non mostravano il minimo segno di ragionamento astratto riuscivano a ragionare astrattamente. Queste prove convinsero Feuerstein che il ritardo delle prestazioni nei test tradizionali non era molto indicativo delle capacità potenziali e che molti dei soggetti che presentavano un ritardo a livello di rendimento avevano capacità di gran lunga maggiori di quanto lasciasse pensare il loro Q.I.

Nel corso degli anni, lavorando con bambini immigrati in Israele dall’Europa, dall’Asia e dall’Africa e più tardi con quelli trapiantati da altre regioni dello stesso Stato d’Israele, Feuerstein ha cominciato a capire perché molti di loro rendessero a un livello inferiore rispetto a quello potenziale. Regolarmente i test mettevano in luce gravi lacune nella modalità del pensiero, lacune che in qualche caso si sovrapponevano parzialmente.

Impulsività. I bambini che ricevono un basso Q.I. si accostano di solito alle prove in maniera non sistematica, per tentativi ed errori. Per esempio, alla richiesta di identificare delle figure geometriche solo col tratto, molti afferrano gli oggetti e li stringono in mano, invece di farci scorrere sopra le dita a lungo e con calma. Nelle prove a scelta multipla, questi stessi ragazzi cominciano a cercare la risposta prima di aver capito la domanda. Per quanto a volte sia dovuta a un danno organico, l’impulsività più spesso significa non aver imparato l’utilità di un comportamento deliberato che segua un progetto preciso.

Mancato riconoscimento dei problemi. Molti problemi intellettuali comportano incongruenze. Feuerstein a questo proposito ama citare l’esempio di Mosè di fronte al roveto ardente: Mosè coglie immediatamente la discrepanza fra la sua esperienza quotidiana con i fuoco e il roveto che brucia senza consumarsi. Ma spesso nei casi di rendimento ritardato questa operazione non riesce: una ragione del mancato riconoscimento delle incongruenze può essere l’impulsività, ma per un altro verso può esser dovuto al fatto di non aver imparato che le discrepanze e le incongruenze sono importanti.

Visione frammentaria del reale. I soggetti che presentano un ritardo nelle prestazioni ai test d’intelligenza tendono a vedere oggetti ed eventi in isolamento, senza cercare di collegarli fra loro, di situare le cose in un contesto. Spesso non hanno la minima idea del fatto che gli eventi dell’oggi sono integralmente legati agli eventi di ieri e a quelli di domani. Un adolescente che ha una visione così frammentaria ed episodica della realtà può dire, per esempio, che vuol fare il medico o l’avvocato e subito dopo, con la massima tranquillità, aggiunge che non vede l’ora di smettere di studiare. Quello che persone del genere non hanno imparato e che gli episodi della vita sono concatenati.

Mancata esecuzione dei confronti. Posti davanti a due figure geometriche e richiesti di descrivere quello che vedono, i bambini con Q.I. basso normalmente descrivono una figura sola, oppure prima l’una e poi l’altra: di rado usano parole come, simile, diverso o somiglia. E tuttavia questa loro apparente difficoltà ad eseguire sistematicamente raffronti non necessariamente rispecchia un’effettiva incapacità: potendo scegliere tra due fette di torta, un bambino ritardato per solito non ha esitazione a scegliere la più grande.

Orientamento spaziale inadeguato. Spesso in questi casi si osservano notevoli difficoltà ad imparare la localizzazione dei riquadri neri in un reticolato o la posizione dei luoghi su una carta topografica o geografica. La ragione è che questi bambini non si orientano rispetto al materiale usando termini come "in alto a sinistra" o "in basso a destra". Magari sanno che cosa significano (alla richiesta di indicare l’angolo in alto a sinistra di un quadrato spesso eseguono correttamente), ma non hanno preso l’abitudine di usare questi concetti per risolvere i problemi spaziali.

Questo elenco è solo un campionario limitatissimo del tipo di lacune nelle abilità di base che Feuerstein ha rilevato nei bambini con apprendimento: in uno dei suoi libri descrive 21 tipi di tali "carenze cognitive", pur ammettendo una notevole sovrapposizione fra i vari difetti. Alla base di tutte queste carenze c’è, a suo avviso, un atteggiamento passivo nei confronti dell’ambiente. Feuerstein osserva che i bambini con ritardo nelle prestazioni ai test non si rendono conto che sono proprio i loro sforzi intellettuali quelli che possono contribuire a risolvere un problema. L’esempio più comune è quello dell’alunno che all’interrogazione risponde immediatamente "non lo so", senza che gli venga fatto di pensare che potrebbe tirare fuori la risposta se solo si sforzasse un pochino. Questi ragazzi nel migliore dei casi vedono se stessi come recipienti passivi d’informazione, mai come generatori di informazione, dice Feuerstein.

Che cosa determina questo atteggiamento passivo e le varie carenze cognitive in cui si manifesta? Secondo Feuerstein la risposta va cercata nel tipo di esperienze che toccano (o non toccano a questi bambini). La sua congettura è che, l’interazione ordinaria con l’ambiente può sì insegnare molte cose, ma non serve granché ai fini dell’acquisizione di competenze mentali. Feuerstein è arrivato a convincersi che le carenze cognitive non siano dovute a povertà di interazioni con l’ambiente, ma a mancanza di specific insegnamenti circa queste interazioni: dal punto di vista dello sviluppo intellettuale quello che conta non è l’esperienza diretta, ma l’esperienza mediata.

In un’esperienza mediata una persona più esperta, generalmente un adulto, interviene fra l’individuo e l’ambiente. Il mediatore "trasforma, riordina, organizza, raggruppa e inquadra gli stimoli in direzione di un fine o scopo voluto". Praticamente si può dire che qualunque esperienza è mediata quando qualcuno interviene a mettervi ordine e chiarirla. L’esperienza quotidiana di fermarsi al semaforo è un esempio dei più semplici. Per farla diventare un’esperienza mediata, un adulto può spiegare al bambino che la luce rossa significa "alt" e quella verde "avanti" e che questa relazione apparentemente arbitraria trova una giustificazione razionale nell’esigenza di regolare il traffico. Da qui adulto e bambino possono prendere l’avvio per parlare di altri casi in cui è necessario controllare il comportamento attraverso regole convenzionali.

Anche semplici ordini possono diventare esperienze mediate. A mo’ di esempio, Feuerstein fa notare la differenza che passa tra dire ad un bambino " Va’ dal lattaio e compre tre bottiglie di latte" e "Va’ dal lattaio e compre tre bottiglie di latte, così ne abbiamo anche per domani quando i negozi sono chiusi". Nel primo caso c’è solo il comando, nel secondo il bambino è messo a parte del ragionamento che c’è dietro. Il contenuto specifico di un’esperienza, secondo Feuerstein, è trascurabile: quello che conta è in che misura questa esperienza apre la strada alla comprensione dei processi di pensiero.

In base a questa teoria, quindi, la scarsità di esperienze mediate dà luogo a processi di pensiero impoveriti, che a loro volta riducono la possibilità di apprendere qualcosa da ulteriori esperienze dirette. Il basso Q.I. dei soggetti con ritardo delle prestazioni intellettuali rispecchia quindi esattamente quello che è il loro attuale livello di funzionamento, ma non necessariamente di capacità potenziali. Da una teoria come questa discende che gli interventi di recupero miranti ad offrire un ambiente stimolante ("riempire le stanze di manifesti, giocattoli e composizioni colorate", come dice Feuerstein) non hanno molte probabilità di essere efficaci. Né molto fruttuosi saranno i programmi didattici intensivi, se puntano su contenuti scolastici tradizionali, come ortografia e tavola pitagorica. Né una generica stimolazione, né l’acquisizione di nozioni basteranno di per sé a migliorare le attitudini di pensiero di questi bambini: sono proprio le attitudini di pensiero quelle che devono cambiare secondo Feuerstein.

I suoi sforzi in questa direzione hanno prodotto il programma di "arricchimento strumentale" (IE: Instrumental Enrichment … il cui scopo non è arrivare a delle soluzioni, ma capire come vi si arriva, non acquistare nozioni, ma imparare come si acquisiscono.

La stessa alternanza test-istruzione-test usata nella batteria LPAD vige anche nel programma di arricchimento strumentale. L’insegnante dà istruzioni ed esempi, chiede spiegazioni, distribuisce lodi, suggerimenti, stimoli e lusinghe ogni volta che gli sembra necessario per aiutare il ragazzo a superare le sue difficoltà.

In uno dei tanti esercizi, per esempio, si tratta di ricalcare i contorni di alcune figure tratteggiate sovrapposte, in modo tale da dare l’impressione che si coprano a vicenda. Un ragazzo impulsivo si butterà nella prova senza riflettere abbastanza, né su quello che si richiede, né sul modo di realizzare meglio il risultato voluto. In questi casi l’istruttore lo ferma e gli chiede di spiegare punto per punto quello che deve fare. Così tutti e due possono analizzare insieme il problema e mettere a punto un piano per affrontarlo: questo procedimento, secondo Feuerstein, dà all’alunno un’idea di quanto sia utile un atteggiamento sistematico e riflessivo.

La funzione principale dello strumento che va sotto il nome di "Progressioni numeriche" è aiutare il ragazzo a superare una visione troppo frammentaria ed episodica della realtà. L’esercizio richiede di trovare relazioni tra oggetti ed eventi disparati: non solo progressioni di numeri, ma rapporti tra figure e comuni concatenazioni di causa ed effetto. Per esempio, in uno dei problemi si chiede all’alunno di spiegare il fatto che un tegame pieno d’acqua si è vuotato: lo si aiuta a vedere come le due situazioni (tegame pieno – tegame vuoto) siano collegate da un evento intermedio, come l’evaporazione o qualcuno che ha rovesciato il tegame, e a capire che più di un fatto può essere stato responsabile del cambiamento.

Valutazione dei progressi

Il programma di arricchimento strumentale è stato progettato allo scopo di aiutare i bambini lenti nell’apprendimento a migliorare le loro attitudini cognitive, ma è anche uno strumento adatto a verificare la teoria dell’intelligenza di Feuerstein: se efficace, confermerebbe l’idea che il ritardo nelle prestazioni ai test d’intelligenza sia dovuto in gran parte alle lacune cognitive da lui indicate, non solo, ma anche che queste lacune siano dovute a mancanza di esperienze mediate. La domanda allora è questa: è vero o no che gli alunni si giovano del programma IE?

Feuerstein riferisce che molti alunni che avevano un Q.I. piuttosto basso, dopo aver ricevuto questo tipo di istruzione compensatoria, hanno finito per diventare insegnanti, direttori didattici, professori, dirigenti, funzionari statali. Sono racconti che danno da pensare, anche affascinanti se vogliamo, ma non del tutto convincenti. Bisogna tener conto del fatto che sono decine di migliaia gli alunni israeliani che sono passati attraverso il programma di Feuerstein: è inevitabile che su un così gran numero ci siano alcuni esempi di successi vistosi, ma per dimostrare che questi sono dovuti al programma in sé abbiamo bisogno di ricerche rigorosamente controllate ... Anche se i primi risultati (di studi effettuati) sono buoni, tuttavia, bisogna dire che il successo può avere a che fare più con l’entusiasmo per un nuovo programma che per il programma in sé. Però alcuni psicologi solitamente molto riservati e prudenti cominciano a manifestare a mezza voce un certo apprezzamento per il lavoro di Feuerstein. Per sempio, J. McVicker Hunt, professore emerito di psicologia all’Università dell’Illinois, che è andato in Israele a verificarlo di persona, ammette di essere stato fortemente colpito. Anche Bransford, che mi era sembrato piuttosto scettico quando lo vidi al convegno in cui Feuerstein presentava le sue esperienze, oggi dice: "Non direi che è la risposta a tutti i problemi, né lo direbbe Feuerstein, ma sono convinto che produce risultati abbastanza eccezionali in alcuni alunni".

La precisazione "alcuni" è importante. Nessuno degli studiosi con cui ho parlato, meno di tutti Feuerstein, pretende che l?IE produca risultati altrettanto buoni in tutti gli alunni. Il programma deriva da una teoria dell’intelligenza secondo cui le competenze cognitive sono acquisite principalmente attraverso esperienze mediate. Ne consegue che avrà buone probabilità di essere efficace solo nella misura in cui le esperienze mediate siano davvero state insufficienti o inadeguate.

La preparazione degli insegnanti alla conduzione del programma è necessariamente piuttosto complessa. Anche i più entusiasti avvertono che non è uno scherzo usarlo. Hunt, un deciso sostenitore del metodo di Feuerstein, mi ha detto: "Questo IE è una cosa molto ma molto difficile da fare. Ci vogliono dei cervelli, perdìo. Bisogna impegnarsi sul serio e pensarci bene e a fondo".

Ma anche così, se è vero che l’offerta di esperienze mediate ha effetti vistosi su alcuni alunni, le conseguenze implicite sono impressionanti. Significa intanto che Feuerstein ha forse ragione a proposito della plasticità dell’intelligenza. Significa che le attitudini di pensiero possono, o meglio devono, essere insegnate. E significa che molte persone che sono di peso alla società potrebbero essere membri autonomi della loro comunità, portandovi un prezioso contributo, significa che molti oggi senza nessuna necessità reale passano la vita in istituti o vanno alla deriva ai margini della società. Soprattutto significa che possono esserci migliaia di individui solo begli Stati Uniti, per non parlare del resto del mondo, che vivono e funzionano molto al di sotto delle loro capacità: uno spreco enorme di potenziale umano.

E’ questo pensiero quello che mi turbava una sera alla fine di una lunga conversazione con Feuerstein. Annuì con un sospiro; "Questa è una delle cose tragiche che non mi danno pace: lo spreco". Io ripensavo a Mary, quella bambina che mi era sembrata tanto più intelligente di quanto dicesse il suo Q.I. di 80: è vero, uno spreco di talenti.

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